È metà giugno e la mia memoria mi riporta allo stesso periodo degli anni scorsi e anche di molti anni fa. Come quando è inizio settembre e puntualmente mi torna in mente la partenza per Parigi, senza volerlo, senza pensarci: saranno l’aria, il colore, gli odori, la temperatura.
Quindi ora è metà giugno. Nel giardino sconfinato intorno a casa c’era, sul retro, un arbusto di pero. Le pere non le ha mai fatte, ma io ci avevo costruito sotto un altarino e pensavo che lì ci stesse la madonna. Quello è stato il mio unico momento vagamente religioso. Mi assolvo perché ero piccola, e mi pare fisiologico esserci passata attraverso.
Era l’inizio dell’estate. Potevo andare sotto il pero a decorare il mio altarino e sentire interamente davanti a me la distesa di tempo vuoto (tredici settimane, tredici temi da scrivere) che all’inizio sembrava infinita. Mentre divoravo libri di tutti i generi (ma non Zanna Bianca perché mi faceva venire freddo) arrivava luglio. Della scuola non ricordavo proprio più niente. C’era il mare, i fiori di mia nonna, il materasso polveroso, i giornalini, le galline, sciacquarsi i piedi dalla sabbia in giardino, le rondini, i cachi acerbi. Poi, troppo presto, era già settembre, e tornava l’affanno tutto insieme per finire quei tredici temi.
Continuo a non sentire. Inizio a non ricordare. Scrivo per fissare le memorie perché mi sembra che potrebbero scivolarmi via. Dovrei preoccuparmi ma non mi interessa, mi interessa solo guardarmi dentro. Ormai non cerco più il bandolo della matassa: sto qui sorda e ovattata a sentire i suoni nella mia testa. Quello che è importante resta, il resto viene lavato via dalle onde come i castelli di sabbia, e quello che resta lo guardo, mi piace abbastanza. Anche se non è come immaginavo.
La nonna. il mare. le galline.
Gli odori. capisco gli odori.
non sentire
non ricordare
……………non credo sia proprio come dici – forse senti e ricordi – eccome.
eccoti